Tre parole in inglese, un unico modo di viaggiare.
In ogni stato del mondo, il termine on the road significa avventura.
Significa libertà.
Da decenni ormai migliaia e migliaia di viaggiatori hanno battuto ogni tipo di strada del nostro pianeta, macinando chilometri o miglia, su due quattro o sei ruote, ma con lo stesso ritmo pulsante dentro al petto.
Una tipologia di viaggio del tutto unica, poiché non ci sono vincoli, poiché la strada, l’itinerario, può variare in continuazione a seconda di quello che il momento ci sta donando.
Esattamente due anni fa, ero in giro con tre amici per le strade (e non sempre si potevano chiamare tali) del Marocco, dieci giorni in cui i nostri occhi hanno visto il deserto, la neve e il mare, in un anello nella parte centrale del paese di 2.400 chilometri.
Questi sono i doni che solo la strada può dare.
Quale miglior modo di vivere alla giornata di arrivare in un luogo totalmente sconosciuto e decidere dove andare ascoltando le storie delle persone che si incontrano?
Marrakech è un ottimo calderone dove culture e volti si mescolano con naturalezza.
Respirare la vita all’interno della città vecchia e tornare indietro nel tempo di secoli, persi tra vicoli che hanno infinite storie da raccontare.
Una delle quali ci convinse a prendere un furgoncino e arrivare fino al deserto.
Per chi non lo sapesse, il Marocco è attraversato da una catena montuosa imponente, con cime che arrivano a toccare tranquillamente i 3000 metri, e al nostro passaggio l’Atlante ci regalò una bufera di neve in piena regola.
Per noi europei nulla di grave: ma i locali mica sono abituati ad un evento climatico del genere.
Ancora rido a pensare al momento in cui cercando le catene, ci venne chiesto a cosa servissero. E in un lampo, usammo i tappetini per i piedi per dare presa alle ruote ormai circondate dalla neve fresca.
Ma dopo la salita quasi sempre segue la discesa.
Discesa che quella notte ci fece ammirare un cielo immenso pieno di stelle, che faceva da tetto alla sabbia sulla quale eravamo sdraiati.
Uscire da una tenda in mezzo a dune infinite all’alba è una sensazione che mai avevo provato in precedenza.
Tempo di mettere ai piedi una tavola da snowboard e surfare sulla sabbia e via sui nostri fidati mezzi di locomozione a quattro zampe e una gobba per ritornare al furgone.
Una tirata di 650 chilometri tutta d’un fiato e la notte la passammo ad Agadir.
Quelle ore che si passano il testimone sono la vera essenza di un viaggio del genere.
Sia fuori che dentro la vettura, il mondo cambia e si evolve, nei paesaggi, nelle teste e nei cuori.
Tutto prende un ritmo diverso, più naturale. Il famoso rallentare e riappropriarsi di noi stessi che più di una volta ormai abbiamo sottolineato tra le righe di questo sito.
Le risposte che inseguiamo con frenesia nei pochi attimi liberi della quotidianità, trovano voce riprendendo fiato in queste lunghe ore di asfalto e sterrato, tra un sorriso, un pasto fugace e una canzone dopo l’altra di una colonna sonora che ricorderà un luogo per tutto il resto della vita.
E farsi accogliere dall’oceano in uno stato del genere, beh, cambia tante cose.
Ci perdemmo nel tempo, aspettando le onde giuste a Taghazout, Imsouane e Sidi Kaouki per poi arrivare a vedere un tramonto mozzafiato alle porte di Essaouira, città in cui ci perdemmo un paio di giorni per riassaporare il gusto della città antica (medina).
Un’auto aveva sostituito il furgoncino, ma non le sensazioni.
Un tuffo veloce nelle cascate per levare i residui del sale di quei giorni e fu nuovamente Marrakech, che ci sembrò totalmente diversa rispetto a dieci giorni prima.
Ma forse fu lei a decidere di guardarci con occhi diversi…